I Non Fungible Token, altrimenti detti NFT sono la moda del momento. Nell’ambiente della finanza personale e della blockchain non si parla d’altro.
Si tratta di una innovativa opportunità di investimento, oppure di una moda passeggera destinata a esplodere come una bolla di sapone?
Proviamo a capirlo insieme.
Che cosa sono i Non Fungible Token?
Prima di dare una definizione di NFT, è il caso di spendere due parole su che cosa sia un token.
Ebbene, nel nostro caso, il token non è altro che un insieme di informazioni digitali all’interno di una blockchain. Queste informazioni registrate in una blockchain rappresentano per esempio delle prove univo.
I token non fungibili hanno la caratteristica di non essere intercambiabili tra di loro.
Meglio fare un esempio: i bitcoin, gli euro, i dollari sono beni fungibili poiché hanno un valore stabilito; per tanto possiamo scambiarceli. Una banconota da 100 euro vale esattamente quanto due banconote da 50.
Al contrario, i Non Fungible Token sono beni che non possono essere scambiati tra di loro perché non hanno un valore definito e uguale per tutti. Pensa alle opere d’arte, non puoi scambiare un Picasso con un Monet; o meglio, potresti anche farlo ma il loro valore non è oggettivo.
20 euro valgono allo stesso modo per tutti, una scultura potrebbe valere 1000 euro per me e 5 per te.
Principio di scarsità
L’idea che sta dietro ai Non Fungible Token è quella di digitalizzare e rendere unici dei beni ai quali non può essere affibbiato un valore oggettivo.
Le opere d’arte – ma anche i videogame o gli oggetti da collezionismo – si prestano ad essere tokenizzate.
Una volta tokenizzati, questi beni devono diventare scarsi o, meglio ancora, unici.
Alcuni artisti hanno venduto delle loro opere sotto forma di NFT per cifre sbalorditive. Al momento, il leader indiscusso di questa categoria è senza dubbio lo statunitense Beeple che pochi giorni fa ha venduto in un’asta la sua opera “The first 5.000 days” alla insensata cifra di 60,5 milioni di dollari (qui ne parla il Sole 24ore).
NFT, opere impalpabili
Perché un’opera digitale dovrebbe valere così tanto e, soprattutto, che me ne faccio di un’opera digitale?
Ci sono persone molto facoltose che possono permettersi di spendere svariati milioni per aggiudicarsi opere di artisti immortali. A costoro, oltre al mero possesso, piace anche esporre i loro acquisti.
La domanda è: dove si possono esporre gli NFT?
La risposta è duplice. In futuro, si potrebbero esporre in “mondi virtuali”. Per adesso, ci sono in commercio delle “cornici”, che non sono altro che schermi.
Tutti artisti con i Non Fungible Token
Il successo strabiliante di alcuni artisti o, più in generale, creatori di contenuti digitali, sta portando moltissime persone a pensare di poter replicare a loro volta tali performance.
Esistono già diverse piattaforme che consentono (anche gratuitamente) di creare e mettere in vendita i propri NFT.
Insomma, diventeremo tutti artisti con i Non Fungible Token!
In tutta onestà non credo proprio che ciò accadrà. Bravo Beeple e bravi altri artisti/content creators ad aver sfruttato questo neonato mercato degli NFT per intascare cifre astronomiche, ma non credo che i loro successi saranno facilmente replicabili dalle migliaia di nuovi artisti che stanno spuntando come funghi un po’ ovunque.
Ha senso investire negli NFT?
Eccoci giunti alla domanda fatidica: ha senso investire nei Non Fungible Token?
La mia risposta è NO!
Risposta secca che mi espone a enormi critiche future, lo so bene. Tuttavia, non credo che gli NFT rappresentino il futuro dell’arte – e dell’investimento…
Il motivo principale è che la scarsità a cui ho accennato sopra è più teorica che pratica.
Mi spiego meglio. Chiunque, per al massimo qualche centinaio di euro può togliersi lo sfizio di esporre nella propria abitazione delle copie molto ben fatte delle più importanti opere pittoriche mai realizzate.
Ovvio, sono copie da 200 euro. Gli originali potrebbero valere anche 200 milioni. Il punto, però, è che per le opere digitali tale differenza viene meno.
Prendiamo un NFT unico. Chi lo compra ha il “certificato di proprietà”, ovvero il token sulla blockchain. Benissimo, però io posso scaricare quell’opera, mettiamo ad esempio che si tratti di un quadro, ed averla a casa mia (nel mio PC o sul mio telefono). In questo caso non posseggo una copia, posseggo proprio l’opera.
D’accordo, non posso dire di esserne il proprietario, però ce l’ho, è li nel mio hard disk. È scarsità questa? Non direi proprio!
E allora, che senso ha investire in “opere” la cui scarsità è più virtuale che reale? Come detto, per me nessuna.
Gli NFT somigliano molto ad una moda passeggera. Una moda che alcuni stanno sfruttando per fare soldi a palate ma che come tutte le mode passeggere verrà presto sostituita da qualcos’altro.
Sia ben chiaro, può darsi anche che io non sia in grado di comprendere a fondo il valore e le potenzialità degli NFT. Ma cambia poco, perché in ogni caso non ci metterò su un centesimo.
Come dice il buon Warren Buffett: “Non investo in ciò che non conosco”.
Lui rinunciò ai clamorosi profitti che gli sarebbero arrivati se avesse accettato di investire in Microsoft, io potrò ben rinunciare a quelli che potrebbero arrivarmi dai Non Fungible Token.
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